CATANIA - Scarti e sottoprodotti delle principali filiere agroalimentari siciliane, sapientemente destinati a impianti per la produzione di biogas, potrebbero produrre energia verde per 10 mila abitazioni con singole utenze da 3 KWh. Oppure potrebbero essere trasformati in bioplastica e bionutrienti per il terreno, rendendo i distretti siciliani realtà virtuose in grado di recuperare tutto il recuperabile trasformandolo in valore per se stessi (energia per auto-approvvigionamento) e in beneficio per la comunità e il territorio.
In termini pratici, si potrebbero avere delle aziende sostenibili. Su tali tematiche di strettissima attualità si è basato il workshop di ieri 29 maggio, svoltosi presso il Dipartimento di Agricoltura di via Valdisavoia a Catania, dal titolo: "Aspetti tecnici e normativi delle agroenergie mediterranee a supporto dei distretti produttivi agroalimentari siciliani". Un nome complesso, forse, ma che indica una realtà molto più semplice, immediata,utile al Pianeta e che avevamo già trattato, in nuce, recentemente (http://www.sottoilvulcano.net/ambiente/agroenergie-mediterranee-nei-distretti-produttivi ).
Siero di latte, residui vegetali, biomasse da cereali, colture in rotazione, ficodindia, sottoprodotti di agrumi e olio d’oliva (pastazzo, sansa e acqua di vegetazione), scarti della macellazione delle carni, deiezioni animali. Sono il "giacimento agroenergetico" della Sicilia, scarti e sottoprodotti del comparto agricolo e agroalimentare capaci di generare biomassa da riutilizzare in processi per la produzione di combustibili e fertilizzanti "verdi". Una potenziale risorsa energetica che i vari distretti produttivi dell’isola (cereali, agrumi, pesca, ficodindia, avicolo, bovino, caseario e dolce), confortati da studi scientifici italiani e internazionali, puntano a mettere a sistema secondo le "best practice" della millenaria cultura contadina del "non si butta via niente". In una società come quella attuale, in cui domina la logica del mero profitto e del consumismo più sfrenato, dove non importa quanto si butta e spreca in barba a visioni ben più mirate e lungimiranti, esistono realtà aziendali che vogliono proporsi, invece, come modelli di sviluppo ecosostenibile. Da questa idea nasce "Risorse Smart", giovane e dinamica start-up composta da quattro professioniste impegnate a connettere domanda e offerta di scarti e sottoprodotti provenienti dal settore agricolo e agroindustriale. Di recente, "Risorse Smart" ha mappato la situazione nei vari Distretti Produttivi siciliani, raccogliendo dati sulla produzione di siero di latte, residui vegetali, biomasse da cereali, colture in rotazione, ficodindia, sottoprodotti di agrumi e olio d’oliva (pastazzo, sansa e acqua di vegetazione), scarti della macellazione delle carni (pollame e bovina), deiezioni animali. I dati emersi sono stati, per l’appunto, divulgati nel corso del convegno di ieri sulle Agroenergie, organizzato dal Coordinamento dei Distretti Produttivi Agroalimentari e Pesca di Sicilia.
Cosa emerge, dunque, dalle rilevazioni effettuate?
Federica Argentati, presidente del Distretto Agrumi di Sicilia, ha affermato: "L’indagine di Risorse Smart conferma che abbiamo un patrimonio agroenergetico del tutto inespresso. Un vero giacimento di energie verdi che, opportunamente lavorate, farebbero di ogni filiera un modello di gestione nella direzione della Green e della Blue Economy: ovvero aziende a ridotta emissione di CO2 (green) o a zero (blue). Una innovazione di sistema - continua Argentati - che deve partire dalla dimensione micro, ovvero dalle singole filiere, per arrivare a una dimensione macro, dove a vincere ed essere additato ad esempio non è il singolo, ma il modello Sicilia: esempio positivo di economia dove i Distretti Produttivi "pensano in squadra", condividono progettualità, fanno sistema e si rinnovano, rigenerandosi, nella direzione della sostenibilità". Per i profani, va sottolineato che, a Blue Economy è un modello di business a livello globale dedicato alla creazione di un ecosistema sostenibile grazie alla trasformazione di sostanze precedentemente sprecate in merce redditizia. Rappresenta uno sviluppo della Green Economy, poiché punta alle "emissioni zero".
Roberta Selvaggi, agronomo e co-founder di Risorse Smart, ha chiarito: "Il vero problema oggi in Sicilia è la mancanza di dialogo tra gli operatori che producono biomasse e le imprese interessate a impiegarle nei propri impianti per la produzione di energia, bioprodotti ed altro. Il divario tra nord e sud in questo settore è molto evidente: al nord oltre 1200 impianti di digestione anaerobica, in Sicilia su 6 autorizzati in Sicilia solo 3 sono operativi (Mussomeli, Comiso e Dittaino). Aziende frammentate e scarsa cooperazione sono causa di questo ritardo".
Biagio Pecorino, docente di Economia Agroalimentare (Di3A Università di Catania), ha sottolineato la centralità della bioeconomia nell’innovazione dei sistemi produttivi mediterranei : "La ricerca mette a disposizione nuove soluzioni tecnologiche e le trasferisce ai sistemi produttivi locali anche adattandoli alle diverse realtà produttive. Per questo credo che la bioeconomia consentirà di innovare i sistemi produttivi mediterranei superando le ataviche resistenze e consentendo quel salto di qualità in particolare al sistema agroalimentare". Insomma, il futuro dell’agroalimentare è già alle porte, anzi rappresenta un’opportunità da modellare attraverso progettazione mirata, sostenibilità, innovazione. La Blue Economy non deve essere solo un traguardo ma una concreta realtà. In fondo non si fa altro che sfruttare il primo principio della termodinamica: "l’energia non si crea né si distrugge ma si trasforma, passando da una forma ad un’altra".
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